mercoledì 1 dicembre 2010

Un necrologio e una diatriba

La morte di Mario Monicelli val la pena di menzionarla anche se non si è appassionati di cinema italiano, almeno per due motivi: primo, per un film eccezionale (anche se magari di... scarse pretese culturali) come L'Armata Brancaleone; secondo, per la polemica che aveva portato avanti contro i tagli ai finanziamenti per la cultura.

Dal momento che quella polemica è infuriata recentemente per via di ulteriori decurtazioni, m'è capitato di riflettere sull'utilità dei finanziamenti al cinema italiano: di solito non ci penso un gran che, nel senso che quando leggo delle cifre che vengono sborsate, per poi avere pochissimi film guardabili prodotti nel nostro paese, mi viene in mente solo qualche parolaccia.

Ma se un tale gigante (un gigante del passato, e legato alla commedia all'italiana ormai declinata, ma pur sempre un gigante) ha protestato fino alla fine contro i tagli a questa spesa di denaro, forse è il caso di pensarci un po' di più.

La comparazione con il cinema australiano, che cominciò negli anni '70 a svilupparsi sotto gli auspici di un'agenzia governativa che lo finanziava, potrebbe essere illuminante.

Prima riflessione: è difficile avere un grande ritorno economico. Gli australiani hanno prodotto alcuni film di successo a livello internazionale, come noi non ci sogniamo nemmeno (magari sono aiutati dalla lingua inglese, però il divario rimane fortissimo), eppure nonostante tutto non hanno rotto l'egemonia di Hollywood. Mentre una cinquantina di anni fa negli USA il pubblico si metteva in fila per vedere i film del neorealismo italiano, oggi esiste un sistema di produzione e distribuzione che controlla il mercato in maniera tale da marginalizzare inevitabilmente la concorrenza. De Laurentiis, di recente scomparso, era l'unico italiano che aveva rapporti con quell'ambiente e poteva garantirsi una distribuzione decente. Pertanto oggi difficilmente sarebbe possibile produrre colossal con budget paragonabili ai vari Batman o Avatar e recuperare quei soldi (se anche qualcuno ce li mettesse!).

Seconda riflessione: è difficile creare una scuola locale. Nel mondo globalizzato chi ha delle capacità va a lavorare per chi gli permette di metterle a frutto. Sempre per fare un paragone con l'Australia, che investito nel proprio cinema e visto nascere dei talenti: nomi come Mel Gibson o Nicole Kidman sono legati più a un discorso mondiale che a uno locale. C'è da temere che se dai nostri schermi spuntasse fuori qualche attore davvero capace (qualcuno bravino ovviamente esiste ma la maggior parte sono ingessati in maniera impressionante, o eccedono nei propri atteggiamenti) troverebbe subito la strada di Hollywood.
Quando col denaro pubblico si è creata una "scuola" per la produzione di effetti speciali italiana qualcosa si è anche tirato fuori. Mi viene in mente la produzione spagnola di Donkey Xote con la grafica dell'italiana Lumiq: a parte il modesto successo del film (scarsa distribuzione o era brutto? non so, non l'ho visto) non mi pare che la cosa abbia avuto gran seguito, o che il nostro cinema finalmente cominci a sfoderare buoni effetti speciali ecc... Chissà se i tecnici che hanno imparato qualcosa hanno ancora voglia di lavorare in Italia o se sono all'estero da un pezzo.

Terza... ma con il cinema si finanzia l'espressione della cultura di un paese, o il cinema è un'industria qualsiasi? Se è un'industria qualsiasi, che lo si finanzi solo se c'è modo che presto stia in piedi con le proprie gambe, altrimenti potrebbe andare a finire come con la Fiat, ovvero sostegni statali immensi e di lungo periodo, per poi vedere che l'azienda scappa altrove e insulta il paese che l'ha fatta sopravvivere.
E se invece decidiamo che il cinema ci serve per consentire al paese di farsi sentire, di essere percepito nel discorso culturale mondiale? Io sono per questa seconda ipotesi.
Continuiamo con il paragone con gli Australiani.
Essi sono riusciti a produrre film che hanno guadagnato dei soldi, e anche a parlare al mondo di qualcosa che riguarda la loro storia (esempio: Gli Anni Spezzati), noi no.
Facciamo dei film che uno straniero difficilmente capirebbe come tematiche; e spesso l'uso di modi di fare troppo nostrani o del dialetto è parte irrinunciabile dello stile in cui sono girati. Oppure facciamo film volgari di serie B, e anche questi non so se riusciamo a esportarli (be', in verità spero di no...).
Ma a volte i film finanziati con il denaro pubblico non arrivano nemmeno nei nostri cinema perché non hanno la capacità di attrarre gli spettatori. A questo punto il loro valore diventa quasi impossibile da giudicare: diventa un discorso tra qualche politico che decide come spendere il denaro e tanti artisti che ne vogliono almeno un po'. Il risultato finale è un vivacchiare inutile, sia perché si disperdono le risorse in mille rivoli, sia per le ovvie implicazioni di corruzione, mercato delle vacche ecc... sia perché il risultato che (per me) sarebbe desiderabile, ovvero dire qualcosa di noi al mondo, non può certo essere raggiunto in questa maniera.

Quindi è così immorale o inutile spendere del denaro per finanziare il cinema? No, io credo che in linea di principio non lo sia e non è colpa degli artisti se l'Italia difficilmente potrà recuperare le posizioni che ha avuto in passato. Le circostanze sono diverse, e sfavorevoli. Però non credo che sia di interesse per la collettività produrre spettacoli che non abbiano la possibilità di toccare un pubblico abbastanza ampio. Le elucubrazioni degli intellettuali indecifrabili e i film che non vuol veder nessuno dovrebbero essere finanziati da privati (se ce n'è disposti a farlo) o scomparire. I criteri per sborsare denaro pubblico dovrebbero essere l'argomento almeno in parte attinente al nostro paese e alla sua storia o cultura (in senso lato, non sto parlando di intellettualismi), e la ricerca di un (almeno) decente successo di pubblico. Non penso che bisognerebbe insistere su attori, registi ecc... che non ottengono questi risultati.

Mi viene in mente almeno un film (El Alamein, la Linea del Fuoco di Monteleone) che, aiutato ma non abbastanza dal denaro pubblico, è rimasto pressoché sconosciuto a livello internazionale anche per la disastrosa mancanza di mezzi che è fin troppo evidente nella pellicola, e, immagino, per la debolezza della distribuzione. Idee e artisti ci sono, quello è solo un esempio.
Se si concentrassero i mezzi là dove ne vale la pena, mi sembra che i quattrini disponibili non sarebbero neanche pochissimi. Bene o male si tratta di centinaia di milioni di euro.
Mi sembra evidente, visti i risultati, che non si sa come spenderli.

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